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sabato 9 luglio 2016

Un pugno che uccide la società buona



Come si fa a sferrare un pugno ad un uomo perché difende la propria moglie o una donna qualsiasi? Come si fa a considerare nemica una persona, solo perché ha il colore della pelle diverso dal mio? Come si fa a considerare la propria donna inferiore all'uomo e per questo picchiarla a sangue fino a sfregiarla o ucciderla? Come si diventa cecchino e si spara per uccidere in una cittadina americana che già vide l'omicidio di JFK?

Interrogativi tremendi che spesso sfociano in risposte che addebitano alla follia individuale la responsabilità di delitti così efferati. Ma è frutto di pazzia o di una "malattia sociale" che invade spesso la sfera personale e sociale?

Questo odio, questa violenza producono altro odio e altra violenza, cioè diventano funzionali alla cultura della contrapposizione che ormai domina ogni anfratto della nostra vita.

E' la logica strisciante del male che progressivamente si impadronisce delle nostre azioni, dei nostri desideri, del nostro modo stesso di intendere la vita.

Come ho avuto già modo di scrivere, domina l'individualismo più esacerbato. Troppo spesso abbiamo creduto che dal liberismo nascesse la nostra sicurezza basata su una produzione della ricchezza infinita. Mai errore fu così grande. E' tempo di ripensare a un intervento pubblico capace di debellare le insicurezze personali dando risposte collettive ai problemi primari di questa nostra società ed in particolare alla morsa della paura, alla disoccupazione ed alla povertà di massa.

Siamo riusciti a privatizzare anche l'utopia, cioè quel valore che nel secolo scorso aveva guidato collettivamente, nel bene e nel male, intere generazioni di giovani, compresa la mia, nella convinzione che la rivoluzione e del cambiamento del mondo prima con la pace e poi  - drammaticamente - con la P38. 

Il nostro modello non è più una società buona ma "una vita buona", troppo spesso non tendiamo al bene pubblico ma all'appagamento personale, non comprendendo che la libertà personale non può che essere frutto solo di un impegno collettivo.

Questo si manifesta spesso anche col voto che non è riferito al perseguimento di una città più a misura d'uomo per tutti, di un Paese che rispetti chi lavora per creare ricchezza collettiva; così vince spesso il populismo, il razzismo "elegante", che a parole dichiara di rispettare il diverso ma che nei fatti lo perseguita e lo vuole distruggere.

In questa logica il metro di misura non è la vita umana ed il rispetto per essa, ma piuttosto - ancora una volta - la contrapposizione: "perché ci si scandalizza se un bianco uccide un nero, quando anche i neri uccidono i bianchi?" L'orizzonte interpretativo è l'odio, la contrapposizione, l'occhio per occhio, perdendo di vista che sia il bianco che il nero sono persone con sentimenti, legami, famiglie, amori, vite condivise. 

Non sono scimmie, né se anche discendessimo dalle scimmie - come vorrebbero alcune interpretazioni della teoria dell'evoluzione per selezione naturale - saremmo privi di un'anima. Siamo persone che esistono e vivono solo se si pongono in relazione con gli altri, che vivono bene solo se hanno obiettivi collettivi, affetti comuni. Considerare l'altro come diverso porta inevitabilmente a populismi, anticamera di totalitarismi. Ma non tutto il mondo fortunatamente è così, c'è ancora chi crede profondamente al riscatto dei più deboli, dei più bisognosi, c'è ancora chi non li usa citandoli solo in campagna elettorale, ma lavora per il loro riscatto.

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