Powered By Blogger

venerdì 24 giugno 2016

Brexit, una sconfitta tutta europea



Quello che sta succedendo in Italia con i 5stelle, in Europa con Bretix e spero non succederà con Trump tra qualche mese in USA,  mi dà tanto la sensazione di una sorta di rivoluzione silenziosa dei più poveri e per poveri non intendo solo quelli che nel secolo scorso erano considerati tali, ma anche i nuovi poveri, cioè tutta quella fascia di popolazione che un tempo era chiamata ceto medio.

Le politiche di contenimento estremizzate e imposte da Berlino, hanno prodotto questa ribellione, dai quartieri periferici delle grandi città, alla parte contadina della ricca Inghilterra, passando per l'ideologia di estrema destra populista alla Le Pen.

L'insicurezza nel domani di larghi strati della società ed in particolare i più anziani come dimostra l'analisi del voto Brexit, con le fasce di età al di sopra dei 40 che hanno votato OUT. Gli anziani hanno deciso per i giovani e lo hanno deciso per la loro insicurezza, dettata dalla globalizzazione, e dalla paura di ciò che non si conosce, cioè dell'altro, del diverso, dell'immigrato.

E' un'altra sconfitta per la solidarietà planetaria, a favore di un egoismo nazionalista che cresce e monta; un sentimento che si sviluppa in Italia, in Austria, in Ungheria, in Inghilterra, in Francia e che farebbe tornare indietro di un secolo questa Europa, al secolo dei protezionismi, dei populismi e dei nazionalismi che hanno devastato le nazioni con il sangue delle guerre e le atrocità e le morti dei gulag e dei lager.

Paradossalmente il desiderio di "comunità" dei singoli si esprime nel rivivere il nazionalismo (vogliamo auto-determinarci, non vogliamo che l'europa decida per noi, ecc.), ma si trasforma in individualismo quando il voto implica scelte di politica internazionale.

Ormai vince l'egoismo, l'egoismo di Cameron che credeva così di rafforzare una leaderchip molto debole, nonostante fosse riuscito, solo poco tempo fa, ad ottenere altri privilegi per l'Inghilterra da parte dell'UE ed anche l'egoismo e l'individualismo dettati dalla paura, dei tanti inglesi che hanno votato out.

Ciò non significa che le colpe sono da addebitarsi totalmente a quell'isola al di là della manica, gravi colpe ha l'UE e quindi anche chi ne è stato il motore.

Forse è il tempo di passare da un'Europa unicamente o maggiormente economica ad un'Europa politica e sociale, con politiche moderatamente espansive, in tal senso, ad esempio, non si capisce perché gli investimenti degli Stati debbono entrare nel calcolo de deficit.

Un'Europa unita può rinascere se si recuperano i valori e l'idealità che la fondò; si potrebbe cominciare a farla guidare da veri leader politici e non da Commissari politici.

lunedì 20 giugno 2016


5Stelle: una vittoria annunciata


Ormai è chiaro, il voto di domenica rappresenta la vittoria di un nuovo modo di sentire e vivere la politica. Non ci sono più appartenenze politiche o ideologiche che tengano, esse rappresentano ormai una minoranza risibile. Si vota perché si chiede alla "politica" di poter stare bene nella città, nel Paese, nel mondo in cui si vive. 

Basta filosofia politica pura, si vota per avere servizi pubblici efficienti, strade senza buche, autobus puntuali, metro funzionanti, asili nido usufruibili, ecc. e si vota ancora molto per protesta; le stesse vittorie di Roma e di Torino al secondo turno dimostrano che i voti di opposizione di destra sono confluiti sui candidati pentastellati. Anche Napoli, anche se si tratta di una riconferma, è un voto di protesta che però si radica in anni di amministrazione giudicata positivamente. Paradossalmente anche a Milano, la gente, gli elettori hanno votato un manager e non un politico e prima di lui avevano votato un uomo fuori dagli schemi della "politica tradizionale".

Centro-destra e centro-sinistra rappresentano sempre di più ricordi passati e sbiaditi, in queste aree politiche o nasce una vera alternativa in termini di programmi politici e di uomini e donne nuove o scompariranno al prossimo stormir di foglie.

Le persone, le famiglie, hanno gridato che non ne possono più, sono disilluse, depresse, stremate dalla disoccupazione, da città invivibili, dall'incertezza e dalla paura per un futuro nebuloso e insicuro e si aggrappano a quella che reputano l'unica speranza a cui aggrapparsi, il movimento 5stelle o proposte politiche simili.

Votano due giovani donne, per guidare due grandi metropoli, anche questo è un segno di profondo cambiamento del sentire politico, un sentire che pone al centro l'etica popolare che condanna la corruzione e quindi premia i volti "senza macchia e senza paura".

Ma la dura realtà prenderà il posto alla giusta felicità che in queste ora le elette e gli eletti  vivono; presto le prime cittadine dovranno affrontare gli enormi problemi di città che non funzionano come Roma o che hanno detto non funzionare come Torino.

Alla prova dei fatti vedremo se la linea politica della campagna elettorale sarà applicabile e applicata o se le prime file rivoluzionarie saranno sacrificate in favore di mediazioni con i poteri costituiti. Vedremo se la verve rivoluzionaria farà piazza pulita di tutto ciò che ha rappresentato il peggio in città come Roma. Io mi auguro che le promesse elettorali si concretizzino sempre quando vengono premiate dal voto e questo non vale per il movimento 5stelle, ma per tutti i vincitori che hanno ricevuto il consenso in base a quelle promesse.

Ciò che manca veramente in questo Paese è una forza moderata che si rifaccia interprete delle esigenze popolari, profondamente radicata nel popolo che viva in mezzo al popolo, senza populismi e scevra da legami con i poteri forti. Una forza con grande idealità e programmi economici capaci di dare risposte alla grande richiesta di lavoro, di sicurezza e di servizi efficienti.

mercoledì 15 giugno 2016


Violenza e follia non annullano la paura e non danno la felicità


Sembra che la follia si stia progressivamente impadronendo del mondo. Un mondo nel quale, sempre di più, vivo male e non credo sia solo una mia sensazione.

Una follia spesso individuale ma che ormai ha le caratteristiche di follia collettiva. 
A Giulianova si pianta un coltello nel cuore di chi non ha dato la precedenza in auto; un professionista spara due colpi di pistola alla moglie, la uccide e subito dopo si lancia nel vuoto suicidandosi; un ennesimo femminicidio che si aggiunge ai tanti che da gennaio di quest'anno si sono compiuti. A Orlando un giovane entra in un locale e uccide 49 persone e ne ferisce decine; a Parigi un uomo uccide una coppia di poliziotti in nome dell'Isis; pregusti la visione di una partita di calcio e spesso essa è preceduta da scontri e violenze degli hooligans che sfogano la propria pazzia sulla città, sui beni comuni e su quelli privati.

Una follia che anche nel quotidiano di ognuno ha le sue radici. Quella quotidianità che spesso è fatta da momenti di pazzia, di violenza, di odio nei confronti dell'altro, peggio ancora se lo consideriamo un diverso, sia esso un uomo o una donna di colore, un gay o un barbone.

Uscire di casa, sopratutto nelle metropoli, è spesso come andare in guerra. Nello stesso condominio non ci si saluta quando ci si incontra, monti in macchina o in moto e cominci a lottare con chi ti taglia la strada o con chi reputa il codice della strada una norma da applicare secondo le proprie esigenze; giungi al lavoro e spesso anche lì è una sorta di lotta aperta tra colleghi per la difesa del proprio posto, non dall'imprenditore, ma dai colleghi stessi; torni a casa riprendendo la lotta con gli altri automobilisti e giunto sotto l'appartamento dove vivi non trovi un posteggio per parcheggiare e ancora rabbia, ira, che spesso si scarica sugli altri. 

Questa violenza urbana - unitamente alla disoccupazione, particolarmente giovanile, e ad una vecchiaia insicura (pensioni al minimo, solitudine, costo delle cure mediche, ecc.) - è uno dei motivi principali dell'ansia e dell'infelicità delle persone.

Così tutto ciò che è "forestiero", invadente, produttore di pericoli è da "eliminare", da togliere di mezzo, da bloccare secondo l'intensità della minaccia avvertita.

La follia individuale crede di potere salvarsi agendo con violenza, in una sorta di difesa aggressiva, un ossimoro che non funziona proprio perché in un mondo globalizzato siamo tutti interdipendenti, lo eravamo nel piccolo villaggio di un tempo, o nel condominio di oggi, figuriamoci in questo mondo sempre più villaggio globale. Ne consegue che nessuno è padrone del proprio destino; solo collettivamente gran parte delle risposte alle domande individuali di sicurezza e di felicità potranno essere date, l'alternativa è la violenza e la follia.

mercoledì 8 giugno 2016

Ballottaggi tra individualismo e comunità sociale


Con le elezioni di domenica scorsa è finita un'altra fase politica di questa Repubblica (seconda, terza?).
Un tempo votare DC o PCI, era l'espressione di un'adesione totalizzante ad un modello di vita. Non si aderiva solo ad un partito e lo si votava, si abbracciava una cultura, uno stile di vita. I DC di tutti gli strati sociali, dagli operai all'alta borghesia, andavano a messa, credevano nella persona inserita in un contesto relazionale e comunitario, credevano al libero mercato ma anche alla solidarietà e alla giustizia sociale. I comunisti non votavano solo il PCI, quel partito rappresentava la propria casa, i propri sogni, le proprie aspettative di riscatto. Anche in loro vi erano radicati i valori della solidarietà e della giustizia sociale, quei valori comuni che avevano unito tutte le brigate partigiane, sia quelle bianche che quelle rosse, contro il nemico comune il Nazi-Fascismo.

Col crollo della prima Repubblica sotto i colpi del Pool di mani pulite, che purtroppo non ha pulito nulla, anzi...., iniziò l'era del berlusconismo e della trasformazione del PCI in PDS, DS, fino al PD. E' il tempo della fine delle ideologie o forse dell'annacquamento delle stesse; padre Sorge decreta la morte del voto unico dei cattolici e il PCI, crollato il muro, deve recuperare una diversa immagine e deve allontanarsi velocemente dalla vecchia ideologia.

Forza Italia prima e PDL dopo riescono a raccogliere intorno a sé i "pezzi" di elettorato che non si riconoscono nel PCI o meglio nella cultura comunista, se pur all'italiana, memori anche degli anni di piombo del terrorismo rosso e riescono a farlo sdoganando anche la destra storica nata dal MSI e che con Fini prende progressivamente le distanze dal terrorismo nero, anch'esso violento e stragista (Stazione di Bologna, ecc.) e la Lega secessionista. Il PCI si trasforma per non morire, sfiorato come fu da Mani Pulite. Ma piano piano  si trasformano non solo e tanto i nomi e la natura dei partiti storici, con la scomparsa di alcuni, è sopartutto l'elettorato che si trasforma.

Non si aderisce più ad un modello di vita incarnato in questo o quel partito, non si vive più per un ideale, sempre di più l'individualismo comincia a dominare; dalla solidarietà "mangiata" a colazione, pranzo e cena, si passa all'individualismo e quindi al predominare degli interessi personali, sugli interessi collettivi. Anche in pezzi importanti del centro-sinistra si fa strada una cultura individualista che produce i tanti scandali fino a Mafia-Capitale.

Si giunge così ad oggi con un'"esplosione" di partiti e partitini, che si contendono i voti per la vittoria dei ballottaggi, non classificabili come un tempo in due schieramenti. A Milano si contendono la poltrona di sindaco un rappresentante dello schieramento di centro-sinistra (è ancora valida questa definizione? Credo di no.) e un rappresentante del centro-destra (è ancora valida questa definizione? Credo di no.). A Torino, come a Roma, la contesa è tra il centro-sinistra (continuiamo a definirlo così) e i pentastellati. A Napoli tra un sindaco uscente eletto a suo tempo da una coalizione "rivoluzionaria" ed oggi sostenuta da varianti della stessa e un uomo voluto da Berlusconi. In questo scenario, paradossalmente, se si guarda con le vecchie lenti della prima Repubblica, il PD vince nei centri storici delle grandi metropoli e perde nelle periferie, un tempo regno del PCI. Nelle periferie vincono i partiti di protesta, di "lotta", quei partiti che parlano alla "pancia", più che al cuore e al cervello.

Credo che il voto, oggi, così come molte delle espressioni personali della vita è il risultato dell'insicurezza, della paura del proprio domani sia esso economico, lavorativo che la paura e l'insicurezza sui rapporti interpersonali. Ci sentiamo soli dentro un mondo fatto di flessibilità, liberalizzazioni, endemica incertezza e competitività.

Questa ansia la viviamo da soli, sembra che essa ci sfida individualmente, cogliendo i fallimenti personali e sottolineando le incapacità personali. Così siamo convinti che solo una salvezza individuale possa salvarci dai problemi comuni.

Così la rabbia individuale, nata dall'insicurezza, particolarmente presente negli strati più bisognosi della società, scatena questa ribellione verso i partiti che hanno governato, nella speranza di una panacea di tutti i mali attraverso il "nuovo" che avanza.

E' auspicabile che queste elezioni siano da insegnamento per tutti quei partiti che vogliono ritornare a stare vicino alla gente e che lo facciano recuperando i valori di solidarietà e giustizia sociale, ma anche dando più sicurezza, sopratutto occupazionale alle giovani generazioni.

sabato 4 giugno 2016


Benigni, Fo e il rispetto delle idee altrui



La valanga di critiche che si sono riversate su Benigni, per aver "osato" affermare che  a ottobre voterà SI, la dice lunga sul perpetuarsi di una sorta di egemonia culturale di gramsciana memoria, fuori dal tempo e dalla storia, che continua ad esistere ed a perpetuarsi anche nel terzo millennio.

Una pseudo cultura che non ammette che un uomo un tempo icona della sinistra, quell'uomo che prese in braccio Enrico Berlinguer, possa "tradire" le sue radici, il suo passato, la sua militanza comunista (?). Da tale assunto si passa agli insulti, ai veti, ai tentativi di far passare la dichiarazione di Benigni come quella di qualcuno che si è venduto al potere costituito.

E' sempre la solita storia: criminalizzare "chi non la pensa come me".

La cosa preoccupa ancor di più quando tali affermazioni escono dalla bocca o dalla penna di un premio Nobel; ma oltre a preoccupare esse fanno comprendere come ormai questo modo di pensare attraversa orizzontalmente una parte significativa dello schieramento politico che va dai pentastellati, passando dalla minoranza Dem, fino ai Fassina.

"Chi non la pensa come me" si trasforma in nemico da abbattere e non ha importanza cosa ha fatto e cosa ha dato per lungo tempo alla cultura, all'arte e al Paese, deve "scomparire" come uomo di spettacolo, come uomo di cultura, come premio Oscar.

Purtroppo, questa pseudo cultura progressivamente si è affermata e si continua ad affermare in larghi strati della società e abbandonando la veste intellettuale su cui si era fondata, resta nuda con le proprie bassezze, con il proprio odio verso l'altro, con la propria incapacità di accettare l'altro così com'è, anche con idee, pensieri, esperienze di vita che non si condividono ma che fanno si che il percorso esistenziale di ognuno sia rispettato per la propria ricchezza, anche se non se ne condividono le idee che a loro volta andrebbero rispettate, anche se non condivise.

Questa cultura dell'antagonismo, della contrapposizione distruttiva, della volontà di annullamento dell'altro, di "chi non la pensa come me", progressivamente si espande andando ad "ingrassare" posizioni politiche che incarnano tale rivendicazionismo sterile e purtroppo troppo spesso populista.

Tutto ciò porta inevitabilmente all'impoverimento culturale delle classi dirigenti, selezionate troppo spesso per la subalternità al Principe o all'aspirante Principe, più che per passione, capacità e preparazione.

Voglio credere che gli intellettuali, gli uomini di spettacolo, la classe dirigente in genere, e sopratutto i cittadini che voteranno SI lo faranno per convinzione profonda, non per servilismo o per rendiconto personale. Stessa cosa mi auguro valga anche per chi voterà NO. Solo ripartendo da profonde convinzioni e da formazione seria e finalizzata al bene comune si potrà tornare al confronto anche duro ma costruttivo e civile. 

mercoledì 1 giugno 2016

Violenza e individualismo


Un uomo uccide la sua ex fidanzata e le dà fuoco tra l'indifferenza e la "paura" dei tanti che passano e scappano, aggrappati al proprio egoismo, alla propria paura dell'altro, dell'ignoto, dello sconosciuto.

Un terrore, una paura, un egoismo che non solo non  fa scendere dalla macchina, chi passa dal luogo, per aiutare una donna urlante che chiede aiuto, ma che riesce non far fare una telefonata alle forze dell'ordine, per arginare quel fiume di violenza che dopo qualche minuto si sarebbe riversato su quella ragazza colpevole solo di aver lasciato un uomo (?) che finirà con lo scaricare su di lei la sua rabbia malata.

Non si tratta della violenza delle città, come commenti o posizioni politiche interessate  e strumentali vogliono far credere, è qualcosa di molto più preoccupante proprio perché attiene alla sfera culturale e quindi ad una delle parti principali del proprio essere.

Una cultura individualista e massificata che rifiuta la stessa idea di dolore per sé, ma che per non subirlo - paradossalmente - si è pronti ad infliggerlo agli altri.

Non importa poi se è una donna, anzi a maggior ragione e così quella cultura individualista dimostra un altro suo aspetto diabolico: la predisposizione verso la violenza sulle donne, fino al femminicidio.

L'egoismo, l'individualismo sono segni inconfondibili dell'insicurezza e dell'ignoranza che troppo spesso regnano in persone spesso culturalmente e psicologicamente fragili; proprio questa insicurezza sviluppa quella incapacità di  gestire i rapporti con gli altri e sopratutto con quelle donne che culturalmente hanno raggiunto da tempo un livello spesso superiore a quello maschile.

La stessa cultura che attraversa orizzontalmente anche chi non si è fermato per dare aiuto o non ha fatto una telefonata alla polizia o ai carabinieri. Una cultura che non riesce più a vedere l'altro come una persona, ma come un avversario, come un nemico che può farmi del male.

E' quella cultura che nei grandi complessi abitativi e nelle metropoli in genere, si trasforma nell'indifferenza tra i condomini di una stessa scala; la cultura del non-saluto quando ci si incontra, fino ai fatti estremi come vere e proprie risse condominiali, che giungono fino all'omicidio.

Siamo stati i sostenitori delle regole, delle norme, ma oggi solo quelle non bastano, anzi a volte sono "portatrici sane" di comportamenti "anomali" quando non criminali, forse è tempo di lavorare seriamente per una educazione civica da troppo tempo abbandonata.